Dimdim e Joao Pereira de Souza – Un’amicizia lunga 8000 km
di Silvia Azzaroli
Nel 2011 Joao Pereira de Souza, un anziano pescatore brasiliano, trova tra le rocce un cucciolo di pinguino di Magellano. Il piccolo esserino sta morendo a causa del petrolio che copre quasi interamente il suo delicato piumaggio, al che Joao, con pazienza e amore, inizia a pulirglielo. Ci vuole diverso tempo per farlo, ma alla fine il pinguino, ribattezzato Dimdim, si riprende e diversi mesi dopo decide di seguire la via del mare, come ogni essere della sua specie.
Joao è convinto che non rivedrà più il suo amico, ma, non appena cambia la stagione, Dimdim riappare, facendosi 8000 km per andarlo a salutare e fa così da 5 anni.
Cinque anni di amore e riconoscenza infinita.
Un’amicizia speciale che ci fa ricordare come anche noi umani siamo parte del tutto, di questo gigantesco eco-sistema, sempre in pericolo, eppure così meraviglioso.
Dimdim ha saputo capire chi gli ha ridato la vita e non si fa scrupolo di percorrere un tragitto così lungo per tornare dal suo amico, che, a sua volta, fece tutto con assoluta gratuità, senza aspettarsi niente, solo per il desiderio di donare a questo piccolo essere indifeso una nuova vita.
Se ci pensate è una cosa stupenda. Donare senza pensarci, senza aspettarci nulla, volendo solo fare del bene, sperando che un essere tanto dolce e tanto piccolo possa vivere e abbia una vita piena. Quante volte in questi giorni sentiamo di vite distrutte e spezzate?
Troppe.
Vorrei sentire di più storie come quelle di Joao, vorrei che potessero essere di esempio questo desiderio di donare la vita, di permettere agli altri di viverla pienamente, senza che essi si sentano obbligati a tornare, ma che lo facciano di cuore come il piccolo Dimdim.
L’amore non ha bisogno di parole, ha bisogno di gesti concreti come quelli di Joao e Dimdim e a me non viene da ridicolizzare in nessun modo la loro storia, capisco che a volte il fanatismo animalista esagera, però qui non c’è nulla di esagerato e mi spiace che ci sia qualcuno che non sappia coglierne la poesia.
“Vado a trovare il mio amico pescatore” disse il pinguino
di Robi Marani
La storia del pinguino Dindim che si è fatto 8000 km per andare a trovare il pescatore Joao Pereira de Souza che gli aveva salvato la vita, ha ridestato in me la voglia di saperne qualcosa di più.
Nelle varie notizie ho scoperto che già nel 2008, 373 pinguini della specie Magellano, la stessa del pinguino salvato in Brasile, erano stati salvati poiché trovati fuori rotta. Infatti i pinguini di Magellano fanno una migrazione dalle coste della Patagonia (Cile e Argentina), risalendo la corrente delle Falkland verso nord.
Chiariamo alcuni punti: i pinguini fanno il corteggiamento, depongono le uova, il maschio tiene sotto cova l’uovo, non volano ma nuotano benissimo e si tuffano con una certa abilità. Come mai allora, che un nuotatore provetto esce di rotta?
Si è parlato del surriscaldamento globale, della mancanza di cibo, o comunque del cibo che sia per quantità che per qualità, in alcune parti del mondo scarseggia anche per gli animali. Questo già significa che, se non si fanno leggi severe e ci si dà una calmata solenne, questo pianeta troverà che tutte le creature che lo abitano avranno sempre più comportamenti fuori controllo.
Il fatto che però rende straordinaria la notizia, non è solo il pinguino che viene salvato, ma che da 4 anni il pinguino vada a trovare il pescatore! In un certo modo è come se dicesse “ehi gente vado a trovare il mio amico pescatore che abita 8000 chilometri da qui, resto con lui qualche tempo poi torno”.
Questa non è una barzelletta, non è un romanzo; è gratitudine.
Il pinguino riconosce nell’uomo l’essere che l’ha salvato e per questo va a trovarlo tutti gli anni, e va a dirglielo di persona.
Joao Pereira de Souza, assieme al suo pinguino, è sicuramente la più bella notizia che tra tutte le notizie terribili, sanguinarie, di lutti e tragedie, ci ha riportato un sorriso e un pelo di speranza in questa umanità.
Già e non ancora – di Chiara Liberti
A tutti coloro che s’avvicinano per la prima volta al testo biblico, ma anche spesso agli esegeti durante il loro corso di studi, quando è la volta di imbattersi nei racconti della creazione si propone sempre questa premessa: “badate bene, sono racconti che vanno collocati nella mitologia”. Premessa giusta e doverosa, accompagnata dalla necessaria contestualizzazione. Tralasciarla e leggere tutto alla lettera sarebbe un errore bello e buono, nonché un rischio pericoloso.
Obiezioni perplesse, espressioni d’orrore, volti increduli: tutti presenti all’appello o manca ancora qualcuno?
Nel sentire moderno il racconto mitico è stato ferocemente declassato a semplice e fantasiosa invenzione, talvolta parecchio bizzarra, quasi una favola arcaica. Il sapere attuale spesso non ha avuto pietà alcuna e lo ha defenestrato senza troppe cerimonie, regalandogli una posizione sociale simile a quella della povera Cenerentola. Qualcosa da leggere da bambini, da ricordare da grandi, da lasciare in un angolino quando è il momento della vera conoscenza, a meno che non si tratti di un quiz televisivo.
Ma come Cenerentola seppe avere la propria rivincita, così anche il sapere mitologico – per chi sa farne un discernimento serio, con cuore e mente aperta – può averne una tutta sua. L’antichità racchiuse infatti in esso quel nocciolo di sapere che più tardi sarebbe sbocciato come filosofia e come teologia. Un riscatto coi fiocchi, non c’è che dire.
I racconti della Creazione non sono da meno, nocciolo compreso. L’idillio tra uomo e creato, quando tutto era pace, sarebbe stato consegnato ai secoli con evidente nostalgia, divenendo non solo memoria di un passato perduto, ma anche promessa di un futuro, un bilico funambolico tra il già ed il non ancora. Il sospiro appassionato di Isaia, nel descrivere la sua era messianica, ha tutto il sapore di rimpianto proteso verso un avvenire che scalpita per poter essere.
Quel già e non ancora ogni tanto fa capolino tra le notizie dal mondo ed è come una porta spalancata su quel che è stato e quel che sarà. Un’apertura che giova non poco, regala letteralmente un ricambio d’aria, una boccata di freschezza condita con un sorriso e qualche pizzico di speranza.
Il pinguino della Patagonia Dindim è solo l’ultimo di una lunga serie di piccoli idilli tra uomo e creato, la conferma che la ri-conoscenza non è una proprietà esclusiva dell’essere umano, soprattutto perché vi sono attimi in cui dall’uomo è tranquillamente riposta nel dimenticatoio, non solo verso i suoi simili, ma anche verso quella stessa Misericordia che mai viene meno al patto di alleanza siglato una volta per tutte su di una croce. La parabola del Padre Misericordioso ne è uno stupendo esempio. E non tiene nemmeno conto, la ri-conoscenza, delle distanze. Ottomila chilometri per ricordare la gratuità di una cura amorevole che ha restituito il piccolo pinguino alla vita: sapremmo fare altrettanto, con le nostre sole forze?
Dindim, pinguino riconoscente.
Hachiko, cane splendidamente fedele oltre la morte. Sirga, leonessa abbandonata dal branco e salvata da due volontari, la quale non si fa scrupolo a dispensare ad essi felini abbracci e richiedere carezze come un gattino domestico.
O ancora, e qui facciamo un bel tuffo nel passato, i numerosi racconti di salvataggi di naufraghi ad opera di branchi di delfini, nel mare della Grecia classica.
È il sussulto, attraverso i secoli, dell’idillio della creazione, di quella gratuità d’amore che abbraccia uomo e creato. È un già, regalato, elargito con misericordia, ma anche da alcuni uomini conquistato con sincera dedizione e profondo affetto. È un qui e adesso che mi regala un pizzico di nostalgia per quel passato perduto, ma mi riempie di speranza per un futuro promesso.
(da Sulla Strada di Emmaus, 10/03/2016)